Italo Bonassi
GIUSEPPE UNGARETTI
Giuseppe Ungaretti nasce l' 8 febbraio 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi, Il padre, operaio nel progetto di scavo del Canale di Suez, muore due anni dopo. La madre si arrangia come può nella gestione di un forno di proprietà, garantendo gli studi al figlio, che può frequentare le più prestigiose scuole di Alessandria. Nel 1906 Ungaretti conosce lo scrittore Enrico Pea, assieme al quale gestisce un deposito di marmi, che diviene sede semiclandestina di anarchici. Tenta quindi la fortuna come corrispondente commerciale , ma si impelaga in un pasticcio di investimenti sbagliati, così nel 1912 si trasferisce a Parigi, dove riprende gli studi universitari. Diventa amico del poeta Apollinaire e di famosi altri scrittori, come Soffici, Papini, Palazzeschi e pittori come Picasso, De Chirico, Modigliani. Nel 1913 perde un amico d'infanzia, l'egiziano Sceab, morto suicida, al quale dedicherà una famosissima poesia ( Si chiamava Moammed Sceab ). Nel 1915 è in Italia, e si arruola volontario nel 19° reggimento di fanteria. Combatte sul Carso, e, in trincea, scrive le sue forse più belle poesie , che verranno stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine con il titolo "Il porto sepolto".
Finita la guerra, va a Parigi, dove lavora come giornalista corrispondente del Popolo d'Italia e come impiegato presso l'ambasciata italiana. Nel 1919 pubblica a Firenze "Allegria di naufragi" Nel 1920 sposa Jeanne Dupoir, dalla quale avrà due figli. Nel 1921 torna in Italia, a Marino, vicino Roma, come impiegato all'ufficio stampa del Ministero degli Esteri, aderisce per sincero spirito nazionalista al fascismo e nel 1925 firma Il Manifesto degli intellettuali fascisti. Nel 1923 ristampa "Il porto sepolto" con la prefazione di Mussolini. Nel 1923 avviene la sua conversione religiosa, come si evidenzierà nella raccolta "Sentimento del tempo" ( 1933 ). Nel 1936 si trasferisce con la famiglia a San Paolo del Brasile, per una cattedra universitaria di letteratura italiana, E qui vi rimarrà fino al 1942, quando ritorna in Italia, a insegnare presso l'Università di Roma, e nello stesso anno viene nominato Accademico d'Italia per "chiara fama di letterato". Nel 1942 la Mondadori pubblica la sua opera omnia, "Vita di un uomo".
Ma solo nel 1968 riesce ad ottenere una certa notorietà presso il grande pubblico, grazie anche alle sue famose letture televisive dei versi dell'Odissea. Nella notte tra il 31 dicembre 1969 e il 1° gennaio 1970 scrive l'ultima poesia, L'impietrito e il Velluto, pubblicata il giorno del suo ottantaduesimo compleanno.
Muore a Milano il 2 giugno 1970. Nessun rappresentante ufficiale del governo ai suoi funerali: sono gli anni terribili delle Brigate Rosse e la morte di un poeta non poteva interessare.
LA POETICA DI UNGARETTI
Ungaretti è il poeta caposcuola esponente del Decadentismo, una corrente letteraria che si affancherà fino agli anni 70 all'Ermetismo, e che esalterà il valore della parola essenziale, dal significato spirituale, senza orpelli accademisti, lontana dalla retorica. Creatore della poesia dal verso breve, anche brevissimo, ma modulato in modo tale da mantenere tutta la musicalità del verso lungo come l'endecasillabo ed altri disparisillabi.
Una finitezza della parola pulita e pura, in frammenti anche senza punteggiature, che devono fissare l'attimo come il flash illumina la scena.
In quest'oscuro / colle mani gelate / distinguo / il mio viso. / Mi vedo abbandonato all'infinito.
Le sue due sillogi, l'Allegria, del 1919, e Il Porto Sepolto, del 1917, rappresentano due punti chiave decisivi della storia della letteratura italiana, così come si può dire altrettanto degli Ossi di seppia di Montale.
Ungaretti rielabora con un linguaggio moderno e incisivo il messaggio lasciato dai simbolisti ( vedi Apollinaire ), completandolo con la terribile esperienza della guerra.Uno stile mistico che troverà la sua massima interpretazione nel Sentimento del tempo e nelle opere successive. Con la poesia l'uomo ha l'unica o quanto meno una delle poche possibilità di salvarsi dall'universale naufragio.
Morire come le allodole assetate / sul miraggio . / O come la quaglia / passato il mare / nei primi cespugli / perché di volare / non ha più voglia. / Ma non vivere di lamento / come un cardellino accecato. ( AGONIA )
Lo spezzettamento dei versi tradizionali soprattutto dell'Allegria ha senzaltro lasciato un segno profondo, dopo l'oltraggio perpretato alla metrica e alla sintassi, nonché al gusto estetico, dalle cosiddette Avanguardie e dal Futurismo, dissacratori della poesia. Con l'Allegria si ha una nuova sintassi poetica, ben aldi là di ogni sperimentalismo. Con una varietà di toni dal gridato al sommesso, ora crudo, aspro, e ora dolce, una grande forza evocativa espressa con poche parole, pochi versi. Migliaia e migliaia gli imitatori ancora oggi, moltissini dei quali senza la minima conoscenza, se non della metrica, quanto meno di quel ritmo, di quella musicalità che distingue la poesia dalla prosa. Gente che ogni tre o quattro sillabe va a capo, tanto perché si deve andare.
Ben l'altro è il verso breve, asciutto, di Ungaretti, che tra l'altro ha scritto anche bellissime poesie usando i classici endecasillabi. La sua poesia spezzettata non perde di vista la cadenza ritmica, caso mai la rinforza.
Di che reggimento siete / fratelli? / Parola tremante / nella notte. / Foglia appena nata. / Nell'aria spasimante / involontaria rivolta / dell'uomo presente alla sua fragilità. / Fratelli ( FRATELLI )
Un'intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d'amore. / Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita. ( VEGLIA )
Come questa pietra / del San Michele / così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria / così totalmente / disanimata. / Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede. / La morte / si sconta / vivendo.
( SONO UNA CREATURA )
Stamani mi sono disteso / in un'urna d'acqua / e come una reliquia / ho riposato. / L'Isonzo scorrendo / mi levigava / come un sasso / Ho tiratu su / le mie quattr'ossa / e me ne sono andato / come un acrobata / sull'acqua ( I FIUMI )
Cessate d'uccidere i morti, / non gridate più, non gridate, / se li volete ancora udire / se sperate di non perire./ Hanno l'impercettibile sussurro, / non fanno più rumore / del crescere dell'erba , / lieta dove non passa l'uomo.
( NON GRIDATE PIU' )
La poesia di Ungaretti ci fa capire che per scrivere una grande poesia non occorrono parole dotte, ricercate, sapienziali, bastano le parole che si usano tutti i giorni, le parole comuni, magari che paiono banali tanto sono comuni.
Si sta come / d'autunno / sugli alberi / le foglie. ( SOLDATI )
M'illumino / d'immenso. ( MATTINA )
Qui abbiamo un famosissimo frammento che dà adito a una molteplicità di interpretazioni semantiche ed ha avuto migliaia di imitatori. E' la poesia più breve di Ungaretti: due parole, tra di loro unite da fitti richiami sonori. Nell'illuminazione del cielo verso mattina, da cui nasce la lirica, il poeta riesce a intuire e cogliere l'immensità. C'è chi vi vede lo splendore del sole sorto da poco, una sensazione di luminosità che dà come un senso di vastità ( immenso ). M'illumino d'immenso dà, con un perfetto parallelismo fonico-ritmico dei due versicoli, l'idea dell'infinita grandezza, con due versi aperti da una elisione, costituiti da due ternari e ruotanti attorno a due termini comincianti per "i" e terminanti per "o" ( Romano Luperini )
Hanno scritto che il poeta ha voluto esprimere"la gioia di immergersi nella luminosa bellezza del creato, negli spazi infiniti di una mattina piena di sole."
Comunque, resta il fatto che il poeta, rannicchiato nel fondo della trincea, guarda il cielo sgombro dalle nuvole, è un breve momento di tregua nelle ostilità. C'è chi scrive una lettera a casa e chi sonnecchia. Si percepisce una sensazione di un benessere come nella breve tregua di un dolore lancinante, una sensazione che ci empie di luminosità e di gioia e che ci fa sentire in armonia col resto del mondo.
Di queste case / non è rimasto / che qualche brandello di muro. / Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto. / Ma nel cuore / nessuna croce manca. / E' il mio cuore / il paese più straziato.
( SAN MARTINO DEL CARSO )
La poesia "rarefatta" di Ungaretti, come si vede, non è ingenua, elementare o primitiva, anzi è una tecnica linguistica consapevole e tematicamente colta. Quella di Montale, così come quella di Luzi, è di una classicità raffinata e dotta, ma Montale soprattutto è poeticamente e umanamente lontano da Ungaretti.
A una scarnificazione del discorso poetico in Ungaretti corrispondono una concentrazione e un'intensificazione del significato, un poesia priva di arzigogoli descrittivi e narrativi. Parole e margini bianchi del foglio interagiscono
completandosi, come le parole nei silenzi. E' la poetica della parola nella pagina bianca.
In nessuna / parte / di terra / mi posso / accasare / A ogni / nuovo / clima / che incontro / mi trovo / languente / che / una volta / già gli ero stato / assuefatto. / E me ne stacco sempre / straniero / Nascendo / tornato da epoche troppo / vissute / Godere un solo / minuto di vita / iniziale /Cerco un paese / innocente ( GIROVAGO )
Bosco Cappuccio / ha un declivio / di velluto verde / come una dolce / poltrona / Appisolarmi là / solo / in un caffè
remoto/ con una luce fievole / come questa / di questa luna . ( C'ERA UNA VOLTA )
Dalla sua scomoda posizione di trincea il poeta intravvede non lontana una collinetta verde di vegetazione, e ne nasce una breve dolcissima poesia, con quel nome fantasioso e poetico di Bosco Cappuccio.
S chiamava /Moammed Sceab, / Discendente / di emiri di nomadi / suicida / perché non aveva più / Patria. / Amò la Francia e mutò nome. / Fu Marcel / ma non era francese / e non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi / dove si ascolta la cantilena / del Corano / gustando un caffè. / E non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abandono / L'ho accompagnato / insieme alla padrona dell'albergo /dove abitavamo / a Parigi / dal numero 5 della rue des Carmes / appassito vicolo in discesa. / Riposa / nel camposanto d'Ivry / sobborgo che pare / sempre / in una giornata / di una / decomposta fiera. / E forse io solo / so ancora / che visse ( IN MEMORIA ).