Il Paese del vento
Qualcuno entra dentro il mio silenzio e mi porta un crogiolo di memorie. Parla, e l’ascolto, e non gli rispondo, lo sento all’altra parte del pensiero - un cielo tra me e lui,- un fiotto d'echi che piovono come piovono le stelle. Ritrovo la memoria del suo viso, lo spettro che tuttora mi ossessiona. Vado in cerca del mio corpo di una volta, di ciò che ero, come un pellegrino, vado verso di lui che dorme nel Paese lontanissimo del Vento. Ma è come in un’oasi, lontana, irraggiungibile. Una fata morgana. ( Cominciamo dalla formica, Mercurio, Rovereto ) E noi saremo gli altri Noi moriremo tutti e due un giorno. Ma dopo noi, altri verranno ancora, ed altri, e di noi migliori ( oh, questo sì, senz'altro! ) Moriremo noi tutti, non solo io e tu, ma tanti, tanti altri e tanti poi avranno negli occhi il nostro sguardo, il nostro sole. E noi saremo gli altri, e gli altri noi. ( Non mancare all'appuntamento, Linea Cultura, MIlano esaurito ) Beh, non credermi Beh, non credermi, ma dopo tanti anni di stupida abulia ( un precipitare all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati, un vagare attraverso un infinito fatto di nulla, dove solo alita lo spazio vuoto...), beh, non credermi, ma ho ritrovato la bussola, il sestante, il nautilus, direi, che mi dirige, un compromesso arduo tra Platone e Nietzsche ( l'anima è il compasso di cui mi servo: traccio netti, rapidi, i confini del mondo dove vivere, sui fianchi erti delle morali esploro l'essere nel ventre delle bambole, m'immergo nelle trame di un fiore di papavero ). E tu sai, ho tagliato gli ormeggi, ed ora, libero, io navigo in alto mare...O navicella, guàrdati davanti: c'è l'oceano, la terra si fa piccola, dilegua, e sono libero, libero di vivere! E mare, mare, mare, mare infinito tutt'intorno, quieto, aspro, rabbioso, ringhia, freme, arpeggia, mi affoga e mi riaggalla. E tu, misero uccello finalmente libero, urti le ali avide di volo contro la libertà del mare... Beh, non credermi, ma dopo tanti anni di pietre nello stagno, ora s'increspa, onda dopo onda sale, s'allarga, monta, s'avviluppa sui bordi di uno spazio senza limiti, diventa oceano,cielo, uranio, iperuranio, tutto. Ecco, la differenza unico tra me e il gatto. ( Visibili non visibili, Grafic House Mestre - esaurito ) Un dio anche piccolo Ma sì, mi faccio scrupolo di quel che dico o penso, anche se serio, e mi domando: A questo punto sono incatramato anch'io come un barcone sghembo che affronta il mare aperto con la bonaccia? Bravo! Siamo appesi, tu ed io, ad un pennone, a un'asta di bandiera. E da lassù sventoliamo le nostre piccole miserie di tutti i giorni, quelle, per intenderci, che mordono le ossa e che riducono il cuore frusto come un vecchio cencio. Colpa del mio cervello, se sono in cerca di una soluzione a me impossibile? E' che mi voglio dio...Un dio, capisci?, anche con la d minuscola, che non fa nulla, che sta solo in casa in un quadretto sopra il cassettone, una candela o due. E un angioletto di gesso, a protezione. Sì, oggi l'ambizione è questa: dimentica gli scrupoli, mi dico, e fatti dio, un dio anche piccolo, ma serio! ( Visibili invisibili, Grafic House, Mestre esaurito ) Se intatti silenzi In te ancora m'acquieto, mio amore, se intatti silenzi serba il ricordo dei giorni, degli anni. Ritorna, riaffiora dal ciglio dell'onda, risento la voce di un tempo. E se corro a riprenderti, e stanchi echi il grido chiama in cieli non più miei, chissà se mi ode il mare, se onde di poesia mi mena questo strazio di albatri. ( Lo specchio di Dioniso, Gabrieli Roma esaurito ) Un epitaffio No, non mi stupirei se tu dicessi che son morto. Ho o non ho il diitto di non vivere? Aggiungi una dovuta lacrima, un epitaffio., un anticipo di eternità dormiente: una vita con o senza Dio. Vivere è un po' come morire, perfettamente stupido. Ma innocuo ( Il dito sul bichiere, Lineacultura, Milano esaurito ) La tua anima, Maria Che straodinaria forma ha l'anima, illuminata al lampo del fotografo! Esce un po' di sghembo a mezza ombra in una luce obliqua che le dona una fattezza tale da stupirne, un'arcana dolcezza d'incompiuta... Pare una cosa viva e insieme morta, una nuvola, un batuffolo d'ovatta, ma più la guardi più ti sembra un tizzo arso, una fiammata di un pagliaio, e le basta un nonnulla per svanire, un soffio, una parola, una risata. Maria, ti vedo in tutta la tua anima, occupa il centro del tuo corpo, cerca una via strozzata a mezza gola, come smarrita, un fuoco che abbarbaglia tra luce e buio - avvampo dell'aurora di quest'estate che va già alla fine.- T'ho fotografata, Maria, stasera, quando il palcoscenico era già vuoto e tu ed io, seduti, a domandarci un modo di fuggire da noi stessi, ad ascoltare i nostri vaniloqui nel soffoco del buio, ad abbracciarci come smarriti e soli, anima e corpo. ( Il dito sul bichiere, di I. Bonassi, Lineacultura Milano esaurito ) GLI sdraiati ( Intervista dei morti sotto terra ) Certo che non c'è luce, è vero, ma poco per volta ci si assuefa al buio come al cinematografo. Pensa che i primi tempi, nel voltarmi, davo di testa al console del Belgio, ma in seguito ci siamo organizzati un poco meglio, e ci voltiamo a turno, lui si gira a destra, ed io a sinistra, così non ci si batte sulla testa. ...... Non so perché si debba star distesi orizzontali. Proprio non capisco. Penso sarebbe meglio stare dritti, magari a fior di terra con la testa per guardare la gente. Ma così, senza lo spazio per poterci muovere o dar con l'unghia dove c'è prurito, credo che non piaccia neanche ai vivi, figùrati poi ai morti! E allora, benedetta sepoltura, ci mettano giù più comodi, in piedi! ....... Un po' di morte penso faccia bene un poco a tutti. Anche a Dio, sicuro, benché l'idea di un Dio che muore non è che piaccia. Ma del resto poco o tanto non può che fargli bene ogni tanto non esser Dio, e morire. ..... Oggi non stiamo molto bene, a causa forse del tempo un poco troppo umido ed anche freddo, e viene pioggia, e cade qualche falda di neve sopra il marmo. Bianca la neve, bianco il marmo, e bianca l'anima di noi morti. Il sole non entra sotto terra. E adesso nevica da ore, e fuori è buio pesto. Ora lo posso dire, oh sì!, che sono come un morto che muoia un'altra volta, tanto che mi è passata anche la voglia di raccontarmi qualche storia allegra, piacevole, per potermi sollevare un poco nel morale. E intanto nevica, tanto, ma tanto, che di più si muore... .... Una cosa che ci dà del dispiacere è che di norma ci vengono a trovare i vecchi coi bambini silenziosi, bene educati: avanzano compunti, zitti, guardandosi d'attorno come temessero di darci del disturbo. Vengono poi ( vedessi! ) certe vedove che subito fai le corna, silenziose, tutte in gramaglie, il vestito nero e il volto serio. Mettono giù un vaso di erica, accendono un lumino, tolgono due foglie, una formichina, versano un po' d'acqua sui tagetes, e dopo aver detto una preghiera restano lì per ore a chiacchierare spettegolando pure di noi morti, figùrati dei vivi! Beh, di certo per un po' pure noi ci divertiamo, tanto per far qualcosa, e si ride, e si passa qualche ora ad ascoltare le fesserie e le balle che si dicono. Poi, quando finalmente se ne vanno, si respira e ci torna il buon umore, si buttano giù i vasi con le eriche, con tutti quegli stupidi lumini. ( Italo Bonassi: Gli sdraiati, Gabrielli Editore, Roma esaurito ) Tempo d'apparenza L'uomo sta seduto s'una sedia e guarda come viene sù la luna, e gli chiede donde venga e dove vada, e come mai illumini la strada, e soprattutto chi glielo fa fare. Sì, è la luna, e lo fa per suo mestiere, ma si chiede che cosa ci stia lì a fare, lui, immobile, seduto sulla sedia, e perché, lì seduto, guardi la luna. E l'orologio batte l'ora ferma. Guarda la notte, e vede che s'annera e si chiede il perché non sia bianca, e che cosa ci stia lì a fare la mosca che s'arrampica sul muro, e il ragno lì in agguato. E nel silenzio dell'orto ormai sfioriscono le rose e tutto se ne va, scompare, e la sedia non c'è, non c'è mai stata, e una voce che grida da lontano dice ch'è tutto un tempo d'apparenza, che noi si è tutto ciò che non esiste, la luna, l'orto, il muro, il ragno. E ci si chiede perché non sia mai stato, dove sia andato l'uomo della sedia, e se ci siano altri uomini, altre sedie. Cominciamo dalla formica Sotto i vostri piedi Scendo alla fermata di un pensiero alle cinque della sera. Nell'attesa, obbligo di non pensare. Per favore, si svuoti immantinente ogni cervello, si intimi il silenzio, tutto taccia, anche gli alberi la smettano di alberare. Ed ansimi, caso mai, però piano, appena appena, passeggiando, il vento, solo lui abbia il dirito di ventare, le foglie non foglino e le radici si limitino eventalmente a radicare. La parola taciuta |
Incontro al temporale
a mio fratello Giancarlo con tutto il mio amore e la mia malinconia Non sei più nulla, voli tra le nuvole, alto, come una rondine in fuga. E' finita un’estate in un sudario di un cielo azzurro e nella fresca morte dell’equinozio cade già la brina nei mattini d’autunno senza vento. La splendida età già se n’è andata, e non m’è dato d’inseguirla: vado come chi va con calma e senza affanno incontro ad un lontano temporale. Addio! Mi volto e lo guardo andare come un’ombra che lascio alle mie spalle nel balenìo di un lampo. E poi ripiglio il mio cammino. E già intanto piove. ( Cominciamo dalla formica, Mercurio, Rovereto ) Non mancare all'appuntamento Guarda, disegno un'orbita. E tu seguila. E mi dici che questa che ho tracciato non ha senso per te. non è che un solco. Ma è il segno della vita, un graffio lungo sulla tua mano. Esisti! QWuanti anni l'eternità? Da come appare, è sempre lì. Vicino alla casa sul fiume, alla tua infanzia, a tuo padre, a via Milano, ai portici, alla gente per strada che rimane in un bolla soffiata di sapone nell'aria estiva, quando il brulichio di chi va dida. In ua sola bolla ua moltitudine di morti che non dice addio, ma arrivederci. ( D'estate l'eternità è di rigore ) Non mancare all'appuntamento, o cara... ( Non mancare all'appuntamento, Lineacultura Milano - esaurito ) Stupendamente vento Ancora vento quest'oggi. Nel suo umore mutevole, inquieto e riluttante, alle strette del Leno fuoriuscito dalle Porte, s'inarca tra davanzali di antichi filatoi e macere sfrangiate tra i cespugli. Il giorno è andato, e il buio tarda a nascere. Lui, il vento, ed io con lui, nel breve soprassalto dell'acqua nella roggia, in un singhiozzo spezzato contro i pali dei lampioni, antico e giovane, vivo nondimeno come un puledro brado, lui, io, la mia dispersa voce, il suo confabulare tra il verde ruggine degli alberi e per strade colme, stipate d'uomini, malgrado tutto lui, stupendamente vento, io vagito d'aria, protèsi come ali di gabbiani, nascita dopo nascita del sole, simili a tutto ciò che ci circonda. Vacilliamo in un solo aquilonare io, la città, le strade, l'acqua, il vento. ( Visibili non visibili, Grafic House Mestre esaurito ) Mimosa Ti penso per scordarti, e guardo il cielo pieno di rondini, e il fiume, il grande fiume, dove si bagna il sole a mezzogiorno. Questa illusione non gettarla al vento umido e fresco, con la sua voce roca fatta di foglie sonnolente. Che solitudine, lungo il fiume tranquillo, dove la vita sembra ferma e l'orizzonte non combacia col cielo... Basta un pensiero che sussurri, e muore questo silenzio. Ho ascoltato come un illuso. La tristezza, sempre quella, che mi tormenta. Le colline verdi di Pasqua sono gialle di forsizie. Il mio silenzio ha generato il ricordo, come una vita che si rinnova e torna alla riviera del suo cielo. Qui non profuma nell'aria la mimosa e non sorride la gente innamorata. Questo silenzio non ha fine né principio. ( Visibili non visibili, Grafic House Mestre esaurito ) Il grillo parlante Ma sì, ci credo, eccome che ci credo, figùrati! A volte non ci penso, ma ci vuole pazienza per rispondere anche al grillo parlante, quando rompe con i soliti piagnistei ( Così non va, questo non lo si può fare, questo sì, davvero è meglio che ci pensi su, fai cadere la lampada, attento! ) E no, a mettersi a giocare con i grilli alla mia età è già difficile, figùrati con quelli che borbottano sul muro... Ma se uno è appena astuto, penso che un martello, ciac!...per spiaccicarlo a pancia all'aria, sia la soluzione drastica, ma giusta che s'impone. Se è di questo che parli, e sei sicuro che sia così, che vuoi di più? Metti sul conto una coscienza sporca in più, e un grillo parlante in meno... ( Visibili non visibili, Grafic House, Mestre esaurito ) Inquieta vestale Orizzonti di nebbia mi attendono dove il cielo discende. Trapelano stupefatti silenzi dove i grandi albatri riposano sulle onde tranquille. Tu spunti la tua lama sul sasso, inquieta vestale, che siedi sul ciglio del mare e guardi i tramonti che portano l'ultimo sonno. Tu sei solo l'invisibile diaframma che mi divide. Verrò a cercarti, un giorno, con la mano tesa. ( Italo Bonassi, Il fiammifero dal mazzo ) Il vecchio anacoluto L'oste mesce un poco stanco quattro anacoluti in croce in un libro di grammatica, brontola e sbadiglia. Il suo cotidie è mescere sintassi con dovizia e onestà di lemmi. Un ragazzino, forse è suo figlio, è intento alla retorica. L'osteria è un vecchio bugigattolo che sa di muffa e venerdì di magro ( i sabati col bacalà ), e ci sta un gatto, o forse non è un gatto ma è un morfèma tra i tavoli, un qualcosa senza un'anima, ne sento i passi, un suono mica male. Nella buia dormienza del locale, un qualcosa non fatto di materia, un vecchio anacoluto arruginito che sa di diàfore e dalèfe, un brivido di suono di litòte. Sono tra i vivi che ancor vivono di grammatica e sintassi, e me ne vanto, l'oste lo sa ( e chi non lo sa? ) e mi mesce con la sua solita perizia un lemma. Ne faccio una metafora. Mi applaude: Risolto ogni problema di stilema. ( Cominciamo dalla formica, di I. Bonassi Tipografia Mercurio, Rovereto ) Le gambe delle donne Stanno sedute con le gambe aperte le donne non più giovani - anzi anziane - e paiono partorienti un po' attempate sulle panche del parco, dove stanno intente ad un cordiale cicalecccio a prendersi l'ultimo sole dell'estate. Le mamme, rosse per l'affanno, spingono carrozzelle carri armati nell'ombra antica e fresca dei tigli. Decifro l'età delle donne dalle gambe, appena che si siedono sulle panche:le giovani le serrano a valva d'ostrica, le anziane le spalancano alla pietà del sole. ( Cominciamo dalla formica ) Morì di troppa vita Morì di troppa vita, all'alba. Era un giorno che cadeva neve, e i lillà, curvi sotto il peso del manto soffice, oscillavano ai gemiti del vento. Cosa strana, quello che era stato e che era finiva tutto in un ronzio esitante, incerto, di una mosca tra lui e il lume. E tutti trattenevano il respiro, come se la vita stesse andando via solo per finta, e poi tornasse, tentando di forzare il sonno, lieve o profondo - non si sa, - viatico non sapido, mistero. Chissà se c'era un aldilà ad attenderlo, una musica, una parola o due di benvenuto. ( Anche lui nel morire era perpesso ) ( La parola taciuta, Tip. Mercurio, Rovereto, gennaio 2014 ) Non sapevo chi fossi Forse non sapevo chi mai fossi, perché suscitassi tanto stupore quando, al mio passare, anche gli alberi - o forse era il vento - si chinavano. Forse non sapevo chi mai fossi, ma gli alberi, oh sì!, che lo sapevano, forse, chissà, era il vento a inginocchiarsi, il vento, a genuflettersi al mio passo. E noi si andava incontro ad un domani, a una distanza azzurra quanto il mare, fino a svanire, in fondo, ad uno ad uno, come naufraghi felici di affogare. ( La parola taciuta ) La sapienza di chi non c'è Mi affascina lo starmene seduto, ( il fascino della sedia ), con la gente che intorno a me è seduta a chiacchierare, e tanto più chiacchiera meno dice. Mi affascina e mi turba l'ineloquio di chi non c'è e parla e non lo senti, l'ineloquio del muto, la presnza dell'Assenza che c'è nella Parola che chiacchiera e non dice, l'Infinito insito nel Finito, nel cadere dell'attimo che non sai perché e per chi cada, senza traccia né eco, il muto e vano inconosciuto alfabeto del silenzio, la sapienza di chi non c'è e non parla. Mi alzo dalla sedia e me ne vado. Bipolarità L'uomo arriva da due posti ed io sto fermo al centro. Viene camminando da sinistra, arriva nel contempo anche da destra. Non so come distinguere il riflesso, quello di destra, dall'originale che cammina giungendo da sinistra Siedo qui al centro s'una sedia e guardo il cielo. Io ci sto nel mezzo, sopra di me non c'è che il mio cappello. Lo prendo e me lo metto sulla testa, e me ne esco. Il mio originale rompe lo specchio e va, senza cappello. L'altro, il riflesso, resta a bocca aperta, una scheggia di vetro nella testa. La parola taciuta Il poco avuto Nulla del mio corso temporale ha una bellezza ancora inconsumata, il tutto ( o, meglio: il poco tutto avuto ), effimero e struggente, io l'ho goduto, il mio piccolo poco transitorio. La parola taciuta |